UBI BENE, IBI PATRIA

MetaHumanistica Blog

Quale umanità per questi tempi?

  Definire l’umanità è un compito arduo, innanzi tutto perché per poterlo fare l’uomo stesso è chiamato a dire di sé. Poi dal momento che ciascun individuo è differente da qualsiasi altro, per trovare una qualche concordanza è necessario allargare di molto le maglie del setaccio che discrimina umano da non-umano o, se preferite, è necessario sfrondare la definizione (o sprofondarci dentro) affinché essa possa contenere al suo interno ogni individuo, dicendo esaustivamente dell’essenza umana di ciascuno. Si può venire in questo mondo maschi o femmine, si è piccoli, si cresce, si invecchia, si può avere la pelle scura o gli occhi chiari, si incorporano sofferenze e gioie, si parlano lingue che risultano incomprensibili ad altri individui, si mangiano con gusto cibi che ad altri risultano disgustosi, si ama, si sorride, si piange. Si nasce. Si muore. Frattanto, si vive. 


  Esiste qualcosa che accomuna tutta questa variegata umanità? E se esiste questo qualcosa allora è esso raccontabile, descrivibile, comprensibile? Esiste quel qualcosa che rimane dopo le scremature e, al contempo, sa mostrarsi tanto profondo da non tralasciare alcuna caratteristica umana? Nascere e morire sono i soli eventi veramente naturali che contraddistinguono l’umanità perché tutto ciò che intercorre tra l’uno e l’altro è culturalmente foggiato, dalla cultura dipende e a essa si ispira. Quale umanità quindi popola il pianeta Terra? È umana allo stesso modo di sempre? O gli uomini e le donne di questi tempi sono giunti a un momento di svolta o forse sono ancora in “attesa del nuovo”? Mi capita spesso di domandarmi se quello che stiamo vivendo sia un momento epocale, letteralmente inteso, e cioè un momento in cui tutto ciò che prima era valido ora viene come sospeso, oppure se ciò che ai miei occhi sembra irreversibilmente disumano è solo l’ulteriore e ultima variazione culturale. Si tratta di un mutamento culturale o antropologico? La differenza è sostanziale e conduce a esiti assai diversi. 


  Me lo domando e, nello stesso tempo, mi chiedo se è possibile compiere questo tipo di riflessioni restando così vicino, così dentro questi tempi, restando qui immersi, qui a viverli da protagonista. Mi chiedo se ho la sufficiente consapevolezza per guardare l’umanità col necessario e sereno distacco dello spettatore, partecipante sì, ma che deve pur sempre rimanere spettatore. Cosa rende umano un essere umano è la domanda prima dell’antropologia, è la domanda stessa dell’umanità che, conscia che non basta essere uomini per sapere cosa rende uomini, continua a interrogarsi in proposito. 


  Secondo me una chiave di volta nella comprensione dell’umanità è la modalità con cui l’uomo si rapporta con la natura. Tanto più l’uomo è consapevole di appartenerle totalmente e di dipendere da essa in modo diretto, tanto più la sua essenza umana si esprime in tutta la sua potenza. Un essere umano che vive sapendo di essere natura è come una nave che veleggia in favore di vento. La consapevolezza di essere uomini passa attraverso la convinzione che la tecnica e la tecnologia sono spesso utili alla nostra vita su questa terra, ma soltanto a condizione che siano lo strumento di navigazione e non la rotta. 


  A partire dall’essere natura l’uomo deve costruire la sua cosmologia, dare un senso e una spiegazione a ciò che con lui in natura si sviluppa, lo circonda e lo accompagna. Solo in un rapporto paritario e senza volontà di dominio l’uomo potrà rendersi conto della sua grandezza e della sua infinita potenza.

Simonetta Pettenon insegnante e antropologa